Radu Lupu
«La triade d’oro del pianoforte»: così il critico Carla Moreni ha definito Maurizio Pollini, Krystian Zimerman e Radu Lupu, musicisti che nell’Olimpo dei grandi interpreti hanno in comune l’antidivismo, la semplicità, la devozione ascetica alle ragioni dell’arte. Pollini ha tenuto a Messina ormai molti anni fa due recital memorabili, il primo dei quali subito dopo la vittoria al Concorso “Chopin” di Varsavia. Zimerman, polacco doc e anch’egli vincitore dello “Chopin”, è stato ospite della Filarmonica Laudamo nella scorsa stagione, lasciando il ricordo di un tocco di eccezionale bellezza. Ascolteremo adesso per la prima volta Radu Lupu, il più visionario, il più immaginifico, il più solitario tra questi poeti del pianoforte. Negli ultimi trent’anni le interviste che ha concesso il maestro rumeno (schivo come i suoi conterranei Ligeti e Kurtag) si contano sulle dita di una mano, e dal 1990 nessun giornalista è riuscito più ad avvicinarlo. Da tempo diserta anche le sale d’incisione, peraltro sempre poco frequentate, ed i suoi dischi sono per questo divenuti già documenti storici. Egli non cura i mezzi mediatici né la pubblicità: entra in scena timidamente, si siede su una sedia comune e non sul tradizionale sgabello, poi... riflessi di luce sulla tastiera. Infine, lascia il palco passando dietro il pianoforte. Lo ascolteremo in Beethoven, quello della Patetica che è stata uno dei suoi pezzi preferiti nelle prime uscite internazionali, e nello Schumann della Fantasia in do magg. op. 17. Proprio per le sue interpretazioni schumanniane Radu Lupu ha ricevuto nel 2006 il Premio Abbiati.